sabato 23 maggio 2015

Nous étions un seul homme (1979)

Philippe Vallois è un regista francese purtroppo ancora sconosciuto ai più, nonostante oggi sia considerato uno dei maggiori pionieri del cinema queer e il suo nome non manca mai nelle rassegne cinematografiche dei festival Lgbt più importanti al mondo. Esordì nel 1975 con il film scandalo “Johan”, dove mise in scena la sua personale storia d’amore con un ragazzo detenuto che stava vivendo in quel periodo. Vallois all'epoca non apparteneva a nessun circolo intellettuale o associazione militante omosessuale, confidò nella macchina da presa tutta la possibilità di esprimere il suo desidero di libertà ed emancipazione. Come dichiara: «Secondo me, un film, come ogni opera d’arte, può aiutare l’artista a estrarre la parte nascosta del suo mondo interiore, a affermare la sua vera natura e non quello che la società si attende da lui. E dunque perché opporsi al processo? Non può che essere di pubblica utilità».
Non sorprende che, nel 1979, quando gli venne proposto di girare un film hard a sfondo gay da un gruppo di uomini d’affari (che avevano intenzione di aprire un cinema porno in Francia), Vallois abbia usato intelligentemente quei piccoli finanziamenti per liberare il suo spirito ribelle e creativo, trasformando quel progetto in una delle storie d’amore più belle rappresentate sullo schermo. “Nous étions un seul homme” malgrado il budget ristretto, è un’opera visivamente potente e ricca di momenti cinematografici di rara poesia. Il film narra la storia di Guy (Serge Avédikian), un giovane che vive da solo in un cottage della Lot-et- Garonne, nella Francia del 1943, accompagnato dalla presenza della sua ragazza Jenine (Catherine Albin). Un giorno Guy incontrerà per caso un soldato tedesco ferito di nome Rolf (Piotr Stanislas) che deciderà di soccorrere e portare a casa sua. Quando il soldato si rimetterà in sesto e cercherà di tornare al suo esercito, Guy gli e lo impedirà inseguendolo e provocandolo inspiegabilmente. Rolf si troverà in una situazione particolare: in quel luogo isolato dalla guerra e contaminato solo dalla natura selvaggia, primitivo, libero da qualsiasi contaminazione della civiltà, comincerà a riflettere su se stesso e sulla sua vita. Anche Guy attraverso questa nuova "presenza" dentro la sua vita, comincerà a prendere coscienza del mondo e del suo passato. Non è un caso se i due personaggi si scontreranno continuamente, in un gioco di ruolo quasi perverso tra debole e forte, tra amico e nemico, tra buono e cattivo, tra francese e tedesco, come per impedire che la loro vera personalità e loro emozioni più informali, più profonde, escano fuori. Lo stesso Guy si rivolgerà a Rolf sempre con l'appellativo “assassino”, dubitando sempre delle sue intenzioni anche quando esprimerà il suo disgusto per il nazismo e racconterà l'incontro toccante che ha avuto con una bambina ebrea terrorizzata che lui ha lasciato libera. La barriera che impedisce la connessione tra due esseri umani è la paura e il regista lo rappresenta bene nello sviluppo della storia: Guy nasconde un passato oscuro perché ha vissuto parte della sua vita in un ospedale psichiatrico e non farà che aggredire verbalmente il soldato accusandolo che «i tedeschi uccidono i pazzi». La paranoia e la follia di Guy alimentate dalle esperienze traumatiche passate sono la causa della sua solitudine, della sua incapacità di comunicare con il mondo e, non meno importante, di amare. Rolf però proverà qualcosa di più profondo che di una semplice amicizia nei suoi confronti, un amore che sarà corrisposto, ricambiato, e che  prenderà vita negli ultimi suggestivi momenti del film. Ma questo grande amore non basterà ad impedire la grande tragedia finale. Il terzo incomodo della storia è rappresentato dall'unico personaggio femminile del film: Jenine. Ama Guy e cercherà di aiutarlo a nascondere l'invasore tedesco, vegliando sui protagonisti come una figura angelica, quasi protettiva, per gran parte della storia, fin tanto sotto i suoi occhi si rivelerà l’amore passionale tra i due uomini.


Vallois descrive questi ritratti umani con molta naturalezza, riuscendo a cogliere la brutalità, l’ironia, la leggerezza e la tragedia che caratterizzano la loro quotidianità. Un’operazione che rifiuta chiaramente i canoni classici del melodramma e che certamente non andrà a genio a chi si aspetta un film sentimentale.
Vallois predilige il minimalismo e l'antinaturalismo, la costruzione psicologica dei personaggi è appena abbozzata e l’ambientazione naturale e selvaggia non è solo uno sfondo dei personaggi, ma è sopratutto un’estensione dei loro sentimenti. A questo proposito è bene ricordare due scene: quella della pesca nel lago, dove i due uomini dopo uno scontro violento che li mette in condizione di rischiare la vita, si ricongiungono fraternamente mentre i raggi del sole abbagliano i loro volti in una panoramica dall'impatto mistico. E quella dall'impronta surrealista accompagnata dalla musica del "Preludio" dell'opera Don Pasquale di Donizetti, in cui Guy è nel bel mezzo della natura in cerca del soldato fuggito (dopo che quest'ultimo ha tentato inutilmente un approccio con lui), dove a un certo punto trova un violino rotto, che subito dopo si rivela essere il fantasma di Rolf seppellito. Sequenza che tra l'altro richiama simbolicamente il sogno di Guy che racconta a Rolf in un momento precedente:
C'era un'isola, nell'oceano... con un branco di pinguini... sulla collina più alta dell'isola. Ma quelli che da lontano sembravano pinguini... non erano pinguini...ma un'orchestra... con musicisti vestiti in frac. Facevamo parte tutti e due dell'orchestra... io suonavo il violino... e anche te. Era molto facile... e anche molto bello. Tutti i musicisti erano molto felici! Ma purtroppo... il concerto si è concluso in modo drammatico. Perché uno dei musicisti ha fatto una nota sbagliata. C'è stata una lotta terribile... tutti i musicisti contro i violini. A quel punto... siamo corsi via. C'erano violini rotti ovunque... ma mi sembra...... che quei violini non erano più dei violini... ma dei veri cadaveri. l musicisti non non c'erano più... ma noi due... eravamo salvi. Provvisoriamente credo... perché... nessuno su quell'isola...... poteva evitare la maledizione che spingeva i musicisti a combattere... l'uno contro l'altro... sempre... a causa di una nota sbagliata
Il sogno è una terrificante metafora del violento condizionamento che la collettività esercita nei confronti dell’individuo. Quei violini che emettono la nota “sbagliata” sottolineano la “differenza” che i protagonisti sentono dentro se stessi rispetto al mondo che li circonda: Guy per la sua follia e Rolf per la sua omosessualità. Guy raffigura quel violino anche in un disegno, fingendo di ritrarre Jenine.
Il sogno sottolinea come gli esseri umani siano disposti ad autodistruggersi a vicenda ogni qual volta un essere umano emette una “nota” diversa, che sia legato a un comportamento, un sentimento, un pensiero, rispetto a tutto ciò che l’ordine sociale definisce e classifica come "normale". E sembra che non ci sia modo di arrestare questo processo come lo sottolinea l'amarissimo finale. Guy in preda alla disperazione e alla follia compierà un gesto estremo e violento contro il suo amato: eseguirà l'esecuzione di Rolf e trasporterà il suo cadavere su un carrello esattamente come ha visto fare i suoi compaesani contro un traditore francese, definito "amico dei tedeschi". Questo automatismo non sembra essere solo il semplice prodotto della turbe psichica sofferta dal protagonista, quanto l'effetto subcosciente che la guerra ha esercitato nella sua vita.


Ma in fondo a questa visione spietata e crudele dell'autore, si cela un barlume di speranza rappresentata dall'amore, esplicata magistralmente nella scena madre del film: quando in piena notte, Jenine spiando attraverso la finestra del cottage, assiste all'unione carnale tra Guy e Rolf. I due corpi nudi, immersi nell’oscurità della notte e illuminati solo dal chiarore della luna, si legano intensamente e armoniosamente in una composizione caravaggesca di luci pallide e ombre dense, mentre una musica barocca si accorda ai movimenti dei loro corpi. È una delle scene di sesso gay più belle della storia del cinema. All'interno della storia svolge anche una precisa funzione simbolica: Guy poco prima della scena ricorda attraverso dei flashback l’immagine di Jenine che si offre sessualmente a lui, Guy farà esattamente lo stesso con Rolf, entrando a contatto il suo archetipo femminile, offrendo "all'assassino" la disponibilità del suo corpo. Ma è altrettanto sorprendente come nell'amplesso tra Guy e il Rolf, il femminile e il maschile si alternano, mescolandosi e plasmandosi armonicamente, attraverso posizioni e ruoli sessuali reciprocamente "attivi" e "passivi", diventando perfettamente complementari, esprimendo l'autenticità di un equilibrio misterioso e primordiale, la chiara rappresentazione dell'archetipo della coppia. Jenine, che assiste silenziosa alla scena dalla finestra del cottage, come una vera "voyeur", prende dolorosamente coscienza di ciò che lei non ha mai ottenuto da Guy: l’amore. A questo proposito è interessante come Vallois abbia preso in "prestito" gli stereotipi dei film erotici e ne abbia sovvertito, se non distrutto, la loro valenza. Jenine, successivamente, entrerà nel cottage e si inserirà nel letto insieme ai due uomini accarezzando Guy, come in un ménage à trois, ma esprimendo inesorabilmente la sua solitudine. Jenine da figura protettrice ben presto si trasformerà in una terribile antagonista, il suo silenzio durante l'arresto di Rolf sarà più significativo di qualsiasi dialogo. 
Nell'ultima scena del film Guy si seppellirà vivo con il suo amato, comunicandoci che l'amore nell'oppressione sociale e nella follia umana, resiste tragicamente. Ed è qui tutta la bellezza di "Nous étions un seul homme".


ps: su questo link potete scaricare il film con i sottotitoli in italiano.

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