• «Non mi importa se passeremo alla storia come barbari» non solo rappresenta la piena maturità artistica di Radu Jude, ma è anche uno dei più grandi film del XXI Secolo...
  • Il film di Peter Watkins è la risposta cinematografica alla trappola della "monoforma", prestandosi ad essere uno dei film-manifesto più rivoluzionari della storia del cinema...
  • Cosa è più importante? La vita o le idee? Il corpo o l'anima? Il visibile o l'invisibile? Questo è quello che si chiede insistentemente la regista sovietica per gran parte della durata dell'opera...
  • È d'obbligo la sua visione prima di scomparire da questo mondo, ma soprattutto prima di continuare a leggere questo blog che porta con tanto onore il suo nome.

venerdì 8 marzo 2024

Femina (1991)

Quinto lungometraggio per il cinema di Piotr Szulkin, girato dopo la sua nota tetralogia fantascientifica, è basato sul romanzo "Il padiglione dei piccoli predatori" (Pawilon małych drapieżców, 1988) scritto dalla femminista Krystyna Kofta, che ha collaborato anche alla stesura della sceneggiatura. La protagonista del film è Bogna, interpretata da Bogna Wegner, una giovane donna trentenne che rimane sola a casa con suo figlio dopo che il marito è partito in viaggio per lavoro. Un giorno riceve per telefono la notizia che sua madre è morta, così intraprende un viaggio nella sua città natale per organizzare il funerale, mentre i ricordi della sua infanzia infelice le ritornano in mente. Scopriamo che Bogna è cresciuta con una madre dominante e severa, molto devota al cristianesimo, di fatti il suo stesso nome di battesimo è una dedica a Dio (in lingua slava "bog" significa "dio" e il "-na" è un suffisso femminile). Ma la sua infanzia è stata anche segnata dal comunismo e dal culto di personalità, in uno dei flashback vedremo la piccola Bogna costretta in ginocchio dalla madre a cantare un inno sovietico, e in altri in preda ad un incubo ricorrente dove lo spettro di Joseph Stalin le fa visita sul suo letto per possederla. Bogna approfitta dell'assenza del marito e della morte della madre per abbandonarsi a delle avventure sessuali, sradicandosi da tutti quei dogmi e quelle inibizioni che hanno formato la sua personalità. Come la "Bella di giorno" di Luis Buñuel sperimenta anche la prostituzione, ma lo sguardo di Szulkin non è altrettanto oscuro, la sessualità di Bogna è uno strumento di liberazione e anche le scene più irrequiete, come quella dove fa sesso con un malato di mente, si risolvono con una catarsi. Questo perché Szulkin attraverso il passato della protagonista costruisce anche una lettura politica, quella della fine del totalitarismo socialista della Repubblica Popolare di Polonia e l'inizio del liberalismo. Un nuovo respiro che Bogna è pronta ad accogliere per quanto amare possano essere le conseguenze, sua madre le diceva «la curiosità è il primo passo verso l'inferno», ma lei fa di quella curiosità, ora espressa dall'antiproibizionismo, uno strumento di esperienza e formazione.
La fotografia, curata da Dariusz Kuc, adotta un obiettivo a lunghezza focale corta nelle sequenze dei flashback, provocando un allungamento e ingigantimento degli spazi, proprio come se vedessimo attraverso gli occhi di Bogna da bambina. Alcune immagini più che dei flashback sono delle vere e proprie allegorie dell'interiorità della protagonista, come la poetica scena di un paesaggio agreste dove Bogna bacia un bambino, quello che sarà il suo futuro marito, e insieme si dirigono verso la collina guidati da una candida luce all'orizzonte. Scena che si ripete nel finale, ma Bogna e suo marito sono adulti e in compagnia del loro figlio, il paesaggio è cosparso da una suggestiva nebbia ed è abitato da pecore, potrebbe rappresentare simbolicamente Arcadia, il luogo mitico dove l'uomo vive in pace e armonia con la natura. "Femina" è il film più ostico del regista, non ha raccolto buoni consensi da parte del pubblico e della critica, eppure è uno dei suoi migliori perché al di là degli ingranaggi narrativi spesso criptici e sfuggenti, ha delle immagini di grande potenza evocativa che si imprimono nella mente. 
Il film trabocca di grandi brani di musica classica, ci sono Mozart, Tchaikovsky e Wagner che commentano musicalmente le immagini come se fossero dei veri sottotesti.


«Nell'ironico Femina (1991), film ricco di simboli, Piotr Szulkin si fa beffe della vacuità dei rituali politici e religiosi polacchi. Sfata l'aspetto rituale della cultura polacca e il suo carattere martirologico. La protagonista (Hanna Dunowska) è combattuta tra cattolicesimo e ideologia comunista: flashback onirici pieni di immagini bizzarre rivelano l'oppressione della sua infanzia. L'immagine che riappare nel film è quella di Stalin appeso a un lampadario. Questo trattamento del totalitarismo è nuovo nelle opere di Szulkin. I suoi primi film di fantascienza antitotalitari utilizzavano messaggi politici appena nascosti, facilmente decifrabili dal suo pubblico.»

giovedì 7 marzo 2024

La guerra dei mondi - Il prossimo secolo (1981)

Titolo originale: Wojna światów – następne stulecie. È il secondo lungometraggio della tetralogia fantascientifica del regista polacco Piotr Szulkin, preceduta da "Golem" (1980) e seguita da "O-Bi, O-Ba. Koniec cywilizacji" (1984) e "Ga, Ga". (1985). "La guerra dei mondi - Il prossimo secolo" è probabilmente il migliore dei quattro, è tematicamente basato sull'omonimo capolavoro di H.G. Welles, tuttavia ha anche legami stretti con il romanzo distopico "Limes inferior" dello scrittore polacco Janusz A. Zajdel. Programmata la sua uscita nelle sale nel 1981, fu bandito dal governo polacco perché presentava parallelismi con il contesto politico della Repubblica Popolare Polacca, così ne posticipò l'uscita di due anni, il 20 febbraio 1983. Come racconterà il regista in un'intervista rilasciata a Film Comment Magazine, il ministro che diede il lasciapassare al film, in seguito, fu persino licenziato. 
Il film inizia con un servizio televisivo che annuncia che sulla Terra è arrivata un'astronave aliena e che è stata accolta festosamente dalla popolazione locale, gli extra-terrestri al loro interno provengono da una civiltà avanzata e la loro missione è quella di condividere le loro conoscenze con gli esseri umani. Dopo seguiamo da vicino la vita di Iron Idem (Roman Wilhelm), il telecronista di un noto e popolare programma televisivo nazionale, l'Idem's Independent News. Un giorno senza preavviso qualcuno cambia il testo di un notiziario che ha preparato, infastidito Iron si lamenta con il suo capo (Mariusz Dmochowski) minacciando di lasciare il programma. Quando torna a casa, la polizia accompagnata da un alieno fa irruzione nella sua abitazione, distrugge tutto e rapisce sua moglie (Krystyna Janda) che mette in un sacco nero, dicendogli che se la rivuole indietro deve imparare ad amare gli alieni. Iron decide di collaborare e gli viene spillata nell'orecchio una targhetta, una sorta di pass per ottenere piccoli privilegi burocratici. Così usa il suo programma per fare propaganda e incoraggiare le persone a donare il loro sangue allo Stato, che è il principale nutrimento degli alieni, ma nonostante ciò gli vengono privati sempre più diritti, viene cacciato dal suo stesso appartamento e umiliato dai suoi vicini. Mentre assiste alla repressione dell'apparato statale sempre più feroce nei confronti dei liberi pensatori, tenta vari piani per ribellarsi e raccontare a tutti la verità di quello che sta accadendo davvero nel Paese.
Piotr Szulkin con evidenti influenze surrealiste, dirige un film straordinariamente scritto e magnificamente fotografato in maniera espressionista da Zygmunt Samosiuk che predilige le tonalità bluastre e luci glaciali, in connessione con l'aridità d'animo che si respira nei personaggi. Il film, teso intelligentemente in un'atmosfera continuamente ambigua, ci induce a dubitare continuamente di quello guardiamo, persino degli alieni che sono interpretati da semplici nani vestiti d'argento che potrebbero essere umani travestiti da quello stesso governo che li sta strumentalizzando per i suoi fini. Il film fa della sua economia estetica la sua forza, mentre si poggia su una narrazione solida e complessa. Quando gli intrighi e i risvolti sembrano slacciarsi e risolversi, altri se ne aprono, interrogandoci sulla natura dei precedenti, come una scatola cinese, conducendoci a un finale incredibile: una spietata riflessione sulla manipolazione dei medium e, al tempo stesso, il tragico manifesto di un corpo che, seppur morto, è spirito vivo in cerca di una salvezza escatologica da quel totalitarismo materialista che ha schiacciato la sua esistenza. Grandioso è Roman Wilhelm che interpreta il protagonista, ci dona anche uno dei discorsi più belli della storia del cinema quando sale sul palco del concerto d'addio ai marziani e urla al mondo la verità, anche se nessuno è disposto ad accettarla.


«Non mi sono mai considerato un regista di film di fantascienza. I miei film sono socio-psicologici, forse anche sociali. Naturalmente c'è sempre l'opportunità di realizzare un film di valore in qualsiasi genere, ma oggi, quando si tratta solo di vendere prodotti, è così raro. Non faccio fantascienza, ma piuttosto prendo in prestito dalla sua estetica.»

lunedì 4 marzo 2024

Götterdämmerung - La caduta degli dei (1969)

Qual è il modo migliore per rappresentare i burrascosi eventi storici che caratterizzarono la prima metà del XX secolo con l'ascesa del nazismo, se non attraverso le ripercussioni che hanno avuto all'interno di una famiglia? L'abbiamo visto proprio recentemente ne "La zona d'interesse" di Jonathan Glazer, ma anche Luchino Visconti nel 1969 lo fece ne "La caduta degli dei", uno dei suoi film meno popolari e il primo della trilogia tedesca che prosegue con Morte a Venezia (1971) e Ludwig (1973).
Segue le vicende della famiglia von Essenbeck che è a capo di una delle più importanti industrie siderurgiche tedesche, preziosa fornitrice di acciaio per l'industria bellica. Durante il compleanno del barone Joachim von Essenbeck (Albrecht Schönhals), il nipote Martin (Helmut Berger) si esibisce travestito da donna imitando Marlene Dietrich de "L'angelo azzurro" (si dice che la stessa Dietrich si fosse complimentata con Helmut per la scena). Durante l'esibizione arriva la notizia dell'incendio del Reichstag, la notizia scuote il barone Joachim, così per salvare il futuro dell'azienda decide di togliere la vicepresidenza a Herbert Thallman (Umberto Orsini), marito della nipote e fervente oppositore del nazismo, cedendo il comando al nipote Konstantin von Essenbeck (Reinhard Kolldehoff), un influente membro delle SA, molto legato ad Ernst Röhm e quindi vicino a Hitler. Questo evento divide la famiglia e scatena l'inizio di una lunga serie di torbidi intrighi volti alla conquista dell'ambita eredità,  che comporta l'assassino del barone per mano di Friedrich Bruckmann (Dirk Bogarde). L'uomo viene persuaso a commettere l'omicidio dalla sua moglie Sophie von Essenbeck (Ingrid Thulin), madre di Martin, e da Aschenbach (Helmut Griem), un lontano cugino degli Essenbeck e importante ufficiale delle SS, l'obiettivo del complotto è quello di incolpare Herbert Thallman e permettere a Martin, che è il maggiore azionista della società in quanto unico discendente diretto del barone Joachim, di ottenere la carica di presidenza al fine di trasferire i poteri a Friedrich, al posto di Konstantin. Le ragioni affondano non solo nell'interesse personale ma anche politico, di fatti lo scopo finale sarà anche quello di eliminare le SA o "camice brune" guidate da Ernst Röhm, in quella che poi è stata battezzata come la "Notte dei lunghi coltelli" e che permise a Hitler di ottenere il pieno controllo del potere militare e industriale.
Visconti, come dichiarò in un'intervista rilasciata durante il set del film, voleva che il film uscisse in tutti i Paesi con il titolo "Götterdämmerung" che significa letteralmente "il crepuscolo degli dei", un riferimento diretto all'omonima opera di Wagner, perché il film è «una specie di catarsi, di dei o considerati semi-dei, non dell'Olimpo o del Valhalla, ma dei semi-dei dell'industria tedesca». Tra le influenze asserì anche una shakespeariana: «Ho voluto fare un Macbeth moderno dove gli dei si mescolano agli umani: lo strumento del loro potere è il denaro, il tempio della loro caduta la fabbrica irta di ciminiere». Infatti, la personaggia di Sophie, interpretata da una straordinaria Ingrid Thulin, non può che evocare la brama di potere e il fascino persuasivo di Lady Macbeth. Ma il vero protagonista - e antagonista - di questa terribile tragedia famigliare è Martin, impersonificato da un Helmut Berger mai così bravo nel dare espressione e carattere a un personaggio così complesso e oscuro, passa incredibilmente da uno stato d'animo di pietosa e infantile fragilità legata ai suoi conflitti genitoriali, a quello di una diabolica e lucida durezza che gli permette di schiacciare, senza alcun rimorso, chiunque ostacoli il suo cammino verso l'ascesa del potere, come una perfetta macchina infernale, che è verosimilmente sovrapposta, nell'emblematico primo piano finale, alle scintille incandescenti della saldatura dell'acciaio nella fabbrica. Il film è fotografato da Pasqualino De SantisArmando Nannuzzi come un dipinto ad olio caravvagesco, dominano le ombre e le luci calde negli interni, mentre gli esterni si raffreddano in un'aria crepuscolare che spesso si fa fatica a distinguere tra il giorno e la sera. Uno dei momenti più alti è la lunga sequenza della Notte dei lunghi coltelli, colpisce non solo per il rigore formale ma anche per la brutalità sanguinosa, è bene ricordare che è anche la prima e unica rappresentazione cinematografica dell'evento. È interessante come questo si inserisca come un'intervallo, o meglio una rottura, con il resto della narrazione legata alle vicende più intime della famiglia von Essenbeck; i membri del SA, come Konstantin e Röhm, sono infatti l'ultimo simbolo dell'autodeterminazione del popolo tedesco, non solo a livello politico (inclini a una "seconda rivoluzione" di matrice anticapitalista), ma anche sessuale. Le spassose serate in libertà dei soldati nei bar, compresi i rapporti omosessuali di alcuni, minacciano la purezza dell'uomo ariano professato da Hitler, perciò vanno eliminati. Visconti, d'altro canto, da buon e intelligente provocatore, lascia che sia Martin a manifestare chiaramente quanta ipocrisia ci sia all'interno delle SS e cos'è poi in realtà la sessualità per il fascismo: un rapporto esclusivo di sopraffazione, un'arma distruttrice per controllare e plasmare l'essere umano, da questo punto di vista, anche la pedofilia, lo stupro e l'incesto diventano, nel contesto del film, le forme trionfanti dell'affermazione del suo potere. Non è esagerato affermare che Visconti, sotto questo punto di vista, abbia anticipato "Novecento" di Bernardo Bertolucci e "Salò e le 120 giornate di Sodoma" di Pier Paolo Pasolini. "La caduta degli dei" è un film marcio, decadente, cupo, magistralmente costruito e interpretato, è uno dei migliori del regista. Era anche il film preferito di Rainer Warner Fassbinder che dichiarò: «penso significhi, per la storia del cinema, quanto Shakespeare per la storia del teatro.»

venerdì 1 marzo 2024

La zona d'interesse (2023)

Uscito nelle sale cinematografiche italiane il 22 Febbraio, è il film più discusso del momento e che sta raccogliendo ampi elogi e consensi da parte della critica e del pubblico. È uno dei pochi casi in cui si può affermare che tutto questo rumore è ben comprensibile e giustificato.
Come racconta Jonathan Glazer al New York Times il film per la realizzazione ha richiesto un lavoro di 9 anni, tutto è iniziato quando lesse su un giornale un'anteprima del romanzo "La zona d'interesse" scritto da Martin Amis, il libro è narrato in parte da un comandante immaginario di Auschwitz, Glazer fu immediatamente attratto da questa prospettiva, così fece delle ricerche sul materiale originale di Amis, consultò il Museo Statale di Auschwitz-Birkenau e scoprì dettagli inediti sulla storia della famiglia del comandante Rudolf Höss, che poi sono finiti nel film. Tra questi, la rivelazione che il giardino della loro casa condivideva un muro con il campo di concentramento e che un giorno nell'estate del '43, secondo la testimonianza del giardiniere, la coppia ebbe un'animata discussione perché il comandate Höss doveva rispettare l'ordine di trasferirsi a Berlino e la moglie non voleva assolutamente abbandonare quella casa.
Nel film Rudolf Höss è interpretato da Christian Friedel e la moglie Hedwig Höss da Sandra Hüller. I due coniugi vivono con i loro cinque figli in una casa che hanno sempre sognato e conducono una tranquilla ed agiata vita famigliare. Hedwig con l'aiuto della servitù si occupa della casa e cura con passione il giardino, Rudolf porta ogni tanto a pescare i figli nel fiume vicino e la notte racconte fiabe alla figlia più piccola, nel giardino c'è anche una piccola piscina dove i bambini possono giocare e divertirsi. Glazer e il direttore della fotografia Łukasz Żal hanno installato fino a 10 telecamere all'interno e intorno alla casa e le hanno mantenute in funzione contemporaneamente, permettendo agli attori di circolare liberamente e improvvisare senza avere una troupe di tecnici alle calcagne, durante tutte le riprese è stata anche usata solo la luce naturale per restituire più efficacemente il realismo, perciò quello a cui assistiamo è un vero e proprio reality in stile "Grande Fratello" della famiglia nazista Höss, ma c'è un ma... un ammasso di suoni terrificanti e incessanti ripercuotono nel luogo, è come una grande macchina infernale che lavora e macina qualcosa nell'atmosfera, anche se per tutta la durata del film non vediamo direttamente da dove e cosa provengano questi suoni disturbanti, ascoltiamo chiaramente il rumore dei forni crematori in moto, i veicoli dell'esercito, gli spari, le urla e i pianti strazianti delle vittime del campo di concentramento. È come se un altro film fosse nel film, questo lavoro incredibile è stato realizzato dal sound designer Johnnie Burn che ha costruito una libreria di suoni basandosi su una lunga ricerca che ha previsto un documento di 600 pagine contenente gli eventi rilevanti accaduti ad Auschwitz, le testimonianze dei testimoni e una grande mappa del campo in modo che la distanza e gli echi dei suoni potessero essere correttamente determinati. Un risultato che supera qualitativamente persino quello fatto ne "Il figlio di Saul" di László Nemes.


Durante la notte Rudolf trova la sua figlia più piccola ancora sveglia davanti la porta che farfuglia qualcosa di incomprensibile riguardo la distribuzione dello "zucchero", le racconta una fiaba per tranquillizzarla e nel mentre si alternano delle immagini in bianco e nero inquietanti, girate con una termocamera e accompagnate da soundscapes composti da Mica Levi, che mostrano una bambina fuori al di fuori della casa che nasconde del cibo tra fango e cespugli, presumibilmente per aiutare i prigionieri del campo. È un'immagine di straordinaria potenza che rompe l'immaginario collettivo cinematografico della bambina con il cappotto rosso in Schindler's List e che lascia spazio a molteplici e significative chiavi di lettura indipendentemente dalla rivelazione della sua identità alla fine del film: dal punto di vista formale si inserisce in contrapposizione al naturalismo del film, facendo emergere un corpo luminoso nell'oscurità, come una luce della coscienza umana in un luogo disumanizzante, ed è anche in contrapposizione col suo stesso medium, perché l'immagine termografica risponde a una funzione poetica e non militare. Ad una chiave più vicina all'introspezione dei personaggi, potrebbe anche essere un'immagine proiettata dal subconscio della figlia di Rudolf, che avverte che qualcosa stia accadendo non solo fuori ma anche dentro di lei, è lo "zucchero" che sta distribuendo o che vorrebbe distribuire, è un'appello alla sua coscienza.
Malgrado gli atti di negazione a se stessi e l'ignoramento delle implicazioni di ciò che sta avvenendo attorno a loro, le suggestive immagini delle ceneri che riempiono i fiori, curati fino a poco prima con tanta dedizione da Hedwig, saranno uno dei primi sintomi del progressivo decadimento della "zona". Anche il climax del film si dileguerà facilmente, allontanandoci dalla famiglia Höss e scaraventandoci ai tempi d'oggi, dentro il Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, dove alcune donne delle pulizie preparano il luogo per i visitatori. Vediamo i forni crematori, le valige, le scarpe e le divise dei prigionieri, c'è chi in queste immagini ci ha visto la semplice constatazione di un male incancellabile, ma la funzione museale è quella di testimoniarlo affinché non venga dimenticato o cancellato dai negazionismi. Un finale retorico e pretenzioso per un film che è in gran parte straordinario. Ma con i suoi pregi e difetti, "La zona d'interesse" rappresenta una delle esperienze cinematografiche più inquietanti della storia del cinema. 

sabato 27 gennaio 2024

Il fascismo ordinario (1965)

Conosciuto anche con il titolo internazionale Triumph Over Violence, è un documentario del regista sovietico Mikhail Romm. Diviso in 15 capitoli, è un compilation film della durata di due ore, che utilizza cinegiornali, filmati e fotografie d'epoca presi dagli archivi storici sul nazismo e fascismo, con l'aggiunta anche di immagini del dopo-guerra e riprese girate dallo stesso Romm a Mosca, negli anni '60.
Il film è una lunga e poderosa meditazione sul fascismo, inteso non solo nel suo significato storico e politico, ma anche nella sua accezione più psicologica e sociologica. Le immagini sono commentate in voice-over dallo stesso regista, spesso in modo ironico e umoristico quando assistiamo alle immagini di propaganda, ma senza superficialità perché volte sempre a schiudere delle riflessioni, che con il proseguire del film si faranno sempre più amare. Ci sono molti momenti intensi, per citarne alcuni c'è quello delle terrificanti fotografie che i soldati nazisti tenevano in ricordo insieme a quelle delle loro famiglie, o quello delle foto segnaletiche dei prigionieri dei campi di concentramento su cui il regista si sofferma in silenzio con lo zoom, per osservare i loro occhi, donandoci uno dei momenti più toccanti e indimenticabili. Il film si apre e si chiude con le immagini dei bambini in una scuola, su cui il regista ripone, malgrado tutto l'orrore testimoniato, la sua commovente speranza per il futuro della società umana.
A fine proiezione, tutto ciò che ne possiamo trarre è che il fascismo ordinario è nella massa umana che cancella ogni traccia di pensiero e individualità, è nel desiderio della guerra, anche nelle parate militari e le esercitazioni della NATO che alimentano lo sciovinismo e il militarismo, è nel culto di personalità di ogni leader, è nel capitalismo occidentale che anche durante la Germania nazista ha lucrato su ogni vittima dell'Olocausto, è nella manipolazione e nello sfruttamento delle classe operaia, è in tutto ciò che è il preludio di ogni forma di totalitarismo e non solo nella sua più ultima, evidente e brutale espressione. Guardare questo documentario dovrebbe essere un obbligo.


Il film è disponibile nella sua versione restaurata su Youtube nel canale ufficiale della Mosfilm, ho curato i sottotitoli in italiano che potete scaricare su questa pagina.


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